2009년 2월 19일 목요일

L’Elisir d’amore

L’Elisir d’amore
di Gaetano Donizetti (1797-1848)libretto di Felice Romani, da Le philtre di Eugène

ScribeMelodramma giocoso in due atti

Prima: Milano, Teatro della Canobbiana, 12 maggio 1832

Personaggi: Adina, fittavola ricca e capricciosa (S); Nemorino, coltivatore, innamorato di Adina (T); Belcore, sergente di guarnigione nel villaggio (Bar); il dottor Dulcamara, medico ambulante (B); Giannetta, villanella (S); villani e villanelle, soldati e suonatori del reggimento

Atto primo .
Dopo un breve preludio, nell’insolita forma di tema con variazioni, il sipario si apre su una fattoria in un villaggio dei Paesi Baschi, verso la fine del XVIII secolo: i mietitori si stanno riposando dal lavoro dei campi ("Bel conforto al mietitore"). Adina, fittavola ricca e capricciosa, siede in disparte leggendo la storia di Tristano e Isotta. Nemorino, un contadino povero e impacciato, la osserva e si strugge d’amore per lei ("Quanto è bella, quanto è cara"). Sollecitata dai contadini, Adina legge a voce alta la storia che narra di come Tristano fece innamorare Isotta tramite un magico elisir ("Della crudele Isotta"). Nemorino si riconosce subito nella situazione e decide di procurarsi un filtro. Improvvisamente si sente un rullo di tamburo e arriva Belcore, sergente di guarnigione nel villaggio, in cerca di soldati per il suo reggimento. Con fretta e sicumera cerca di sedurre Adina e le propone subito il matrimonio ("Come Paride vezzoso"). Nel duetto seguente Adina fa capire a Nemorino quanto l’amore fedele poco si addica al suo cuore ("Chiedi all’aura lusinghiera"). Annunciato dal suono di una tromba, arriva su un carro dorato il dottor Dulcamara, in effetti un ciarlatano con pretese di taumaturgo, che narra alla folla i propri poteri ("Udite, udite, o rustici"). Affascinato da tanta sapienza, Nemorino si fa avanti e chiede a Dulcamara se possieda «lo stupendo elisir che desta amore». Il ciarlatano intuisce quanto sia sprovveduto Nemorino e gli rifila una bottiglia di vino Bordeaux al prezzo di uno zecchino (tutto ciò che Nemorino possiede), aggiungendo che farà effetto solo dopo ventiquattro ore: giusto il tempo necessario a Dulcamara per allontanarsi dal villaggio. Nemorino, fiducioso di aver nelle mani il potente elisir, incomincia a berne grandi sorsi ("Caro elisir, sei mio"): diventa presto euforico e sicuro di sé, tanto da manifestare indifferenza nei confronti di Adina, la quale si irrita per il suo atteggiamento ("Esulti pur la barbara"). Il desiderio di ripicca è tale in Adina, che ella porta ad acconsentire alla proposta di matrimonio di Belcore; ma il sergente deve partire all’indomani, e propone quindi di anticipare le nozze alla giornata stessa. Nemorino, che sa di poter contare sull’effetto dell’elisir dopo ventiquattro ore, prega Adina di aspettare un giorno a sposare Belcore ("Adina credimi"). Ma Adina si avvia con Belcore, mentre Nemorino smania tra le risa della folla.

Atto secondo .
Nella fattoria di Adina sono in corso i preparativi per le nozze della padrona di casa. Dulcamara e Adina improvvisano una scenetta cantando una barcarola a due voci ("Io son ricco e tu sei bella"). All’arrivo del notaio per la firma del contratto nuziale, Adina annuncia che lo firmerà solo a sera e alla presenza di Nemorino, per vendicarsi di lui. Frattanto Nemorino si dispera per il mancato effetto dell’elisir e per la mancanza di denaro, che gli servirebbe per comperare un’altra bottiglia del magico liquore. Belcore ha il rimedio da suggerirgli: farsi soldato guadagnando così venti scudi e, pensa Belcore, togliendosi dai piedi. Ma le ristrettezze di Nemorino sono in realtà finite, anche se lui ne è ignaro. Non sa infatti l’ultima nuova: Giannetta, una contadina, va in giro raccontando che uno zio di Nemorino è morto lasciandogli una ricca eredità ("Saria possibile"). Tutte le ragazze del paese circondano ora di attenzioni Nemorino, il quale pensa che l’elisir inizi a fare effetto; lo stesso Dulcamara resta perplesso. Adina, che non sa nulla dell’eredità, guarda con sospetto le attenzioni delle giovani verso Nemorino, svelando così i suoi veri sentimenti verso il ragazzo. Dulcamara le racconta di aver venduto l’elisir a Nemorino e Adina capisce di essere amata ("Quanto amore"). Nemorino, da parte sua, si accorge che mentre le ragazze lo corteggiavano una lagrima è spuntata sugli occhi di Adina ("Una furtiva lagrima"), e questo gli dà la certezza di essere corrisposto. Adina riacquista da Belcore il contratto di arruolamento e lo porta a Nemorino ("Prendi, per me sei libero") invitandolo a rimanere nel villaggio. E qui cade il punto debole dell’opera: Nemorino crede finalmente di aver capito che Adina lo ama, ma ella gli annuncia invece che intende lasciarlo. È troppo perché Nemorino non esploda: le rende il contratto e decide di aggiungersi alla guarnigione di Belcore: «poiché non sono amato, voglio morir soldato», dichiara eroicamente. Adina a questo punto capisce che è il momento di gettare la maschera. Gioia «inesprimibile» in entrambi gli amanti ("Il mio rigor dimentica") e scorno di Belcore, soprattutto quando tutti apprendono che Nemorino è diventato il più ricco del villaggio, e trionfo finale per Dulcamara: nessuno può più dubitare degli effetti del suo taumaturgico elisir ("Ei corregge ogni difetto").


Riguardo alla debolezza drammaturgica del finale del secondo atto, l’autografo dell’ Elisir pone alcune questioni importanti. Anzitutto la sua dislocazione tra Napoli e Bergamo: nella biblioteca di San Pietro a Majella il primo atto, il secondo al Museo Donizettiano di Bergamo. Inoltre, dall’autografo del secondo atto furono strappate alcune pagine, corrispondenti alla sezione finale del duetto che inizia con il cantabile di Adina ("Prendi, per me sei libero"; precisamente battuta 54 alla fine). Solo Donizetti stesso, evidentemente insoddisfatto della parte dell’opera corrispondente alla mutilazione, avrebbe potuto permettersi un intervento del genere su un autografo. Poiché le pagine mancanti corrispondono a un taglio divenuto tradizionale, viene da chiedersi come mai Donizetti rese il taglio così definitivo e lo fece in modo così drastico. Questo taglio rende inoltre il duetto tra Adina e Nemorino carico di incongruenze e difficoltà per la rappresentazione poiché, dopo il delizioso coro di donne che discutono sul fatto che Nemorino sia divenuto ricco improvvisamente, nell’unico ensemble del secondo atto (il quartetto "Dell’elisir mirabile"), Adina considera la sua intenzione di smettere di fare la ‘sostenuta’ e di ammettere il suo amore. Quando Adina entra e dà a Nemorino il contratto che ha acquistato da Belcore, in modo che il suo amato non debba partire, canta un’aria ("Prendi, per me sei libero") al termine della quale, chiamata a esporre le sue intenzioni, dice di volersene andare e di non aver nulla da aggiungere. Inconcepibile che, dopo la dichiarazione espressa nel quartetto precedente, di voler rendere palese il suo sentimento, voglia correre il rischio di perdere Nemorino, che infatti prontamente conferma la sua intenzione di partir soldato. Infine, dopo molte esitazioni, Adina confessa il suo amore e non trova altro mezzo che una cabaletta che sembra un esercizio sulla coloratura, convenzionale e assai impegnativa. Evidentemente conscio delle incongruenze che il finale del secondo atto poneva, nel 1843 Donizetti riscrisse interamente questa sezione, il cui autografo, riportato alla luce da Alberto Zedda, si trova alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Riscrisse il cantabile di Adina, in parte sullo stesso testo ("Prendi, per me sei libero"), eliminò l’illogico litigio di Adina e Nemorino (N.: «Or, or si spiega». A.: «Addio». N.: «Che, mi lasciate!». A.: «Io... sì». N.: «Null’altro a dirmi avete?». A.: «Null’altro»), e fece attaccare a quest’ultimo la sua frase ("Poiché non sono amato") subito dopo che Adina gli ha reso il contratto di arruolamento, al termine del cantabile, tagliando la superflua dichiarazione di Adina ("Sappilo alfin, tu mi sei caro"), e sostituendo la cabaletta. La nuova cabaletta ("Ah l’eccesso del contento"), scritta al posto di quella del 1832 ("Il mio rigor dimentica"), è una vera gemma in puro stile belcantistico, che risolve magnificamente la scena.
Resta un unico dubbio: come mai Donizetti non rese pubblico un cambiamento di tale entità? Che egli intendesse questa nuova sezione come sostitutiva di quella del ’32 è confermato sia dal manoscritto di Parigi, sia dal fatto che l’autografo dell’opera completa si trova in due luoghi diversi, Napoli e Bergamo. Partito da Milano per Napoli, Donizetti avrebbe portato con sé l’intero autografo pensando evidentemente di rimetterci mano, cosa che fece a Parigi, dove si era portato l’intero secondo atto, nell’ultimo suo intensissimo anno di attività, il 1843, quando, pur gravemente prostrato dalla malattia, ebbe la forza di comporre due grandi opere, Maria di Rohan e Dom Sébastien . Poi il declino fisico e l’ultimo viaggio a Bergamo, probabilmente con l’autografo di Elisir : epilogo tragico di un lieto fine.

댓글 없음: